Qualche giorno fa per un
temporale notturno con forti raffiche di vento è caduta una betulla nel nostro
giardino di Loveno, sul lago di Como.
Arcobaleni dopo un temporale a Loveno. Sullo sfondo le Grigne e Bellagio |
Non è la prima volta che capita. Cosa
strana, la pianta è caduta un paio di giorni prima che Beatrice, la
perturbazione dal nome angelico che doveva rinfrescare l’aria, ma ha fatto
disastri in molte località, sradicasse centinaia di piante nel Parco di Villa Taranto a Pallanza.
La nostra betulla era una
“signora” sulla sessantina e,
insieme ad altre, era stata piantata da mia madre negli anni cinquanta del
Novecento, poco dopo la costruzione della casa.
Per il disegno del giardino mia
madre aveva chiesto dei consigli a Ignazio Vigoni, un amico che risiedeva nella
dimora di famiglia nel cuore del paese, poi lasciata in eredità al Governo
tedesco e divenuta la sede del Centro italo-tedesco di Villa Vigoni.
Mia madre Laura sul terrazzo di casa in una foto degli anni trenta del Novecento |
Dandy, scrittore, colto studioso
dell’arte e della flora locale nonché paesaggista, Vigoni per il viale del
giardino aveva consigliato dei bellissimi larici e delle betulle. Mentre nel
grande prato che si affaccia sul lago davanti alla casa i protagonisti sono
cinque superbi Pinus pinea. Un tempo
c’erano anche cinque cipressi, ora ne è rimasto uno solo. Ma altri cinque li ho
piantati io stessa nel settembre del 2003 disegnando, in un campo dietro al
giardino, l’uliveto dedicato alle mie nipotine nell’anno della nascita della più piccola.
Un approccio eclettico, dunque,
quello di Vigoni, con uno sguardo volto alle Alpi, vicinissime, e un altro
volto a mezzogiorno. Il clima lacustre, del resto, fa sì che sui nostri laghi
crescano insieme specie nordiche e mediterranee, oltre alle numerose presenze
esotiche venute da lontano. Una antologia vegetale fascinosa e interessante,
purché nei giardini ci sia spazio
e non si cada nel kitsch.
Della betulla caduta resta una
foto che mi è cara.
Eccomi, sul finire degli anni cinquanta, nella foto scattata da mio padre, davanti alle piccole betulle |
La si può vedere anche nel libro Il mio pensiero a te, 1910 - 2010 (Edizioni dell’Epilobio, Blurb), che ho inventato insieme a mia figlia
Paola per i cent’anni di mia madre.
In copertina: Laura Isnenghi Ponti sorridente in una bella foto degli anni trenta del Novecento |
Quella foto in bianco e nero
davanti alla betulla caduta, con le sue “sorelline” accanto, me la fece sul finire
degli anni cinquanta mio padre. Il mio amato padre di cui ieri, il 29 agosto,
ricorreva il quindicesimo anniversario della scomparsa. Ricordi e affetti, vita e morte si
rincorrono anche nella storia dei giardini.
Le betulle di Ca' Gianin a Trivero nella foto di Karl-Dietrich Bühler |
Nel tempo quel gruppetto di piccoli alberi dalla corteccia chiara, sericea e lucente era cresciuto,
diventando molto simile
a quello
che potete vedere
qui accanto, situato
a Trivero,
nel biellese, a Ca’ Gianin,
da Pietro Porcinai,
il famoso architetto
del paesaggio,
coetaneo di mia madre.
Ma a Loveno nel corso di sessant’anni
altre piante bellissime, fra cui un Cornus kousa chinensis portato, ancora virgulto, in valigia
dall’Inghilterra da mia madre e una Nyssa sylvatica erano state messe a dimora nelle vicinanze ed erano
poi cresciute a incorniciare le betulle. Che, ora, sono diventate così fragili
da temere un colpo di vento.
Le piante crescono come i bambini. La mia nipotina nel maggio del 2004 con le nonne davanti al Cornus in fiore |
Ma vorrei raccontarvi di più su
questa pianta così poetica.
Chiamata “ulivo del Nord” per la
sua grande diffusione alle latitudini più settentrionali, Betula alba è, per i russi, un vero e proprio «pozzo del popolo».
Gli usi della candida corteccia
sono tanti: dall’estrazione di un olio aromatico per la concia del famoso
«cuoio di Russia», alla copertura dei tetti delle case scandinave, sino alla
preparazione di torce intrecciate per illuminare di notte le sconfinate distese
della steppa. Con la linfa della pianta, messa a fermentare nelle botti con
zucchero, uva secca e cannella, nei paesi del nord si distilla anche il «vino
di betulla», bevanda alcolica e spumeggiante che ricorda vagamente lo
champagne.
In Italia allo stato spontaneo la
betulla è diffusa nei boschi alpini e prealpini e in alcune valli
dell’Appennino parmense.
Insieme al pino silvestre e
all’ontano bianco disegna raggruppamenti boschivi abbastanza estesi. Nelle
radure formatesi a seguito di incendi o disboscamenti tende a colonizzare le
aree degradate grazie ai semi alati che si lasciano docilmente trasportare dal
vento. Allo stesso modo si comporta come pianta pioniera in alcune torbiere
basse che emergono con il progressivo interramento dei piccoli laghi prealpini.
Dettagli delle foglie, degli amenti e dei frutti di Betula alba in una tavola botanica |
Dolcissime a primavera sono le
aeree betulle che si possono vedere nei boschi di Velate, vicino a Varese, dove
dipingeva Guttuso, o quelle che in autunno accompagnano gli escursionisti
sull’alta via del Lario.
Ma la più bella, incredibile a
dirsi, si trova a Milano. Piegata dal vento, distende i suoi rami annosi verso
una sorgente luminosa che riflette le luci del tramonto. Nel biancore della sua
corteccia e nella figura della madre con il bambino si esprime tutta la
simbologia della femminilità che caratterizza nel nord Europa il mito di questa
pianta. È la betulla de «L’angelo della vita» di Giovanni Segantini, dipinta
nel 1894 dal pittore nativo di Arco sullo sfondo del lago di Sils Maria in
Engadina.
“L’angelo della vita” di Giovanni Segantini, del 1894, olio su tela di 276 x 212 cm, alla Galleria d’arte moderna di Milano |
Autoritratto di Segantini, 1895, carboncino, ritocchi in gessetto bianco e polvere d’oro, dal catalogo della mostra “Giovanni Segantini, Luce e simbolo, 1884-1899” |
Se vi capita di passarle vicino,
andate a vederla alla Galleria d’Arte Moderna di via Palestro. Ma se volete
ammirarne un’altra assai simile, solo molto più piccola, volate a Budapest. Lì,
nella città adagiata fra le rive del Danubio, al Museum of Fine Arts, c’è una seconda
preziosa versione del dipinto, incastonato come un’icona in una cornice dorata
che ricorda, come spiega Annie-Paule Quinsac, un reliquario.
Quasi che
Segantini, nella decorazione fitta e nervosa scolpita sui bordi,
volesse esaltare l’intreccio delle radici e il palpito stesso della vita.
“L’angelo della vita” di Segantini, 1894-1895, olio su carta di 59,5 x 48 cm, Museum of Fine Arts, Budapest |
Note
e precisazioni per le immagini
La
foto del prato di Loveno con i due arcobaleni dopo un temporale è di Marta
Isnenghi.
La
foto di Laura Isnenghi Ponti sul terrazzo di casa, della fine degli anni trenta
del Novecento, è di Enrico Isnenghi.
La
foto di Marta Isnenghi, a circa dieci anni, davanti alle piccole betulle, è di
Enrico Isnenghi.
La
foto de “Il mio pensiero a te, 1910 - 2010”, che appare sulla copertina del
libro scritto da Marta Isnenghi e Paola Vozza, Edizioni dell’Epilobio, Blurb,
in occasione dei cento anni di Laura Isnenghi Ponti, è di Enrico Isnenghi.
La
foto delle betulle a Ca’ Gianin a Trivero è di Karl-Dietrich Bühler ed è tratta
dal libro di Milena Matteini “Pietro Porcinai, architetto del giardino e del
paesaggio”, Electa.
La
foto del Cornus kousa chinensis e della Nyssa sylvatica, con la bimba piccola fra
le nonne, è di Paola Vozza.
L’immagine
delle foglie, degli amenti e dei frutti di Betula alba è tratta da Google
immagini, sito web quoki.com.
La
foto de “L’angelo della vita” di Giovanni Segantini, del 1894, olio su tela di
276 x 212 cm, custodito presso la Galleria d’arte moderna di Milano, è tratta
da internet, sito frammentiarte.it
L’immagine
dell’“Autoritratto” di Segantini, 1895, carboncino, ritocchi in gessetto bianco
e polvere d’oro, è tratta dal catalogo della mostra “Giovanni Segantini, Luce e
simbolo, 1884-1899”, a cura di Annie-Paule Quinsac, Skira.
L’immagine
de “L’angelo della vita” di Giovanni Segantini, 1894-1895, olio su carta di
59,5 x 48 cm, che si trova al Museum of Fine Arts di Budapest, è tratta dal
catalogo della mostra “Giovanni Segantini, Luce e simbolo, 1884-1899”, a cura
di Annie-Paule Quinsac, Skira.
Un
altro articolo sulla betulla, intitolato “Elisir afrodisiaci e vino
spumeggiante dal «pozzo del popolo»” è stato scritto da Marta Isnenghi e
pubblicato su Milano Lombardia, inserto de l’Unità, il 7 febbraio 1986.