mercoledì 19 settembre 2012

«I venessia, gente grama e vagabonda» che rubava i kaki

 


Kaki in autunno a Villa Taranto nella bella foto di Francesca De Col Tana per la rassegna Editoria&Giardini, la bookmesse verbanese dedicata quest'anno al giardino giapponese

Ho passato l’adolescenza all’ombra di un albero di kaki.
Se ne stava nel mio giardino, a Milano, e m’aspettava. Quando tornavo da scuola, nei mesi più miti, appena finito di mangiare scendevo la scaletta di pietra e mi mettevo a leggere sotto la pianta. Protetta dalle foglie lucenti del mio albero, ho divorato tutto Salgari e tutto Conan Doyle.

Di fronte, fra me e la casa, c’era un grande ciliegio che si velava di candidi fiori primaverili, seguiti fra giugno e luglio da squisiti duroni.
Poi, quando mi sono sposata, sono andata a stare a Brera.
Tornata a vivere, vent’anni dopo, nella casa di famiglia, il caco e il ciliegio non c’erano più. E neppure l’albicocco davanti alla casa vicina, dove abita mia zia.

Forse quelle piante erano morte e mia madre e sua sorella s’erano lasciate incantare dall’idea di trasformare il giardino-frutteto del nonno in un piccolo parco. 
Al posto degli alberi da frutto ora troneggiano un gigantesco faggio rosso, una Ginkgo biloba, un’immensa quercia americana. Piante belle, non c’è che dire, soprattutto in primavera e in autunno. Ma divenute così enormi e invadenti che, con il passare degli anni, si sono mangiate i giardini, rivelandosi poco adatte ai piccoli spazi fra le mura che le ospitano.

Sono le mode della botanica.
Fra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento i nostri nonni appagavano il loro esotismo con un albero «Made in Japan», il Diospyros kaki. Ufficialmente l’albero era arrivato in Occidente traversando tutta l’Asia sin dal 1796, ma era rimasto una rarità custodita negli Orti botanici. Secondo i fiorentini però il primo caco italiano è datato 1780 e fu piantato a Firenze negli splendidi giardini di Boboli.

Pannello di legno di kaki, con frutti e foglie, dipinto a Tokio nel 1874

La sua diffusione in Italia e sulle coste meridionali della Francia avviene a cavallo fra Otto e Novecento. Dopo la lunga autarchia dell’impero del Mikado durata oltre duecento anni, nel 1854 i porti giapponesi cedono alle pressioni russe e americane e si aprono finalmente ai contatti commerciali con il resto del mondo. 


Vincent Van Gogh, Ritratto del Père Tanguy, 1887
Gli influssi del Sol levante sono subito riconoscibili: nei quadri di Van Gogh (famoso a proposito il Ritratto del Père Tanguy con la parete tappezzata di stampe giapponesi, in una delle quali rosseggia proprio una pianta di kaki), come nelle più svariate espressioni dell’Art Nouveau, per non dimenticare la Butterfly pucciniana.

Intanto nei giardini e nei cortili dei nuovi ceti emergenti, il Diospyros, l’albero del «grano degli dei», diventa una presenza familiare.
Di frequente a ridosso di un muro esposto a mezzogiorno o in un angolo riparato vicino alla casa, questa pianta colora il paesaggio urbano e suburbano dell’epoca.
Contribuiscono al suo diffondersi il gusto che allappa deliziosamente il palato e l’aspetto attraente dei frutti; ma certo anche la maturazione in mesi dell’anno in cui la frutta scarseggia.


Tavola botanica del caco dipinta e incisa da Fitch John Nugent nel 1907





Con il perfezionamento delle tecniche colturali, con gli innesti su altre specie di ebenacee, ad esempio il Diospyros lotus, che garantiscono una maggior resistenza alle basse temperature invernali, l’albero di kaki inizia ad essere piantato nelle coltivazioni a conduzione familiare.
In particolare nelle regioni a clima temperato dove «L’inverno è più trasparenza d’aria che freddo; e in quell’aria sui rami scheletriti s’accendono centinaia di lampadine rosse: i cachi».
Dove i piccoli frutteti fra ottobre e novembre sembrano «un seguito di venditori di palloncini, col loro carico sospeso in aria: nove su quel ramo biforcuto, sei su quell’altro storto…». 

Lo scrittore Italo Calvino
Chi meglio 
di Italo Calvino
nella sua piccola storia
Alba sui rami nudi
pubblicata nel 1949
fra i trenta racconti
di Ultimo viene il corvo,
poteva descrivere
il ruvido incanto
delle fasce terrazzate
in Liguria?
Se il frutteto
non viene spogliato
dai ladri come
i «venessia, gente
grama e vagabonda»
che nella fiaba
derubano Pipin Maiorco, il contadino ligure che urla sdegnato «Tron di Dio! alzando i pugni verso le case del Paraggio alte sulla collina, una fila di case a un piano color muffa, come i villaggi di sughero dei presepi….», nei primi giorni di novembre i kaki vengono raccolti e messi ad ammezzire in casa vicino a un vassoio di mele profumate, che sviluppano gas utile al processo di maturazione.
Quest’uso domestico, sebbene ormai trasformato dalle più moderne tecnologie, è tutt’ora alla base della preparazione dei kaki nei grandi frutteti della Campania e della Romagna. Proprio da queste regioni provengono i frutti succosi che troviamo sui banchi di frutta e verdura. Raccolti appena prendono colore i kaki vengono sistemati in celle a temperature comprese fra i 20° e i 25°  e “gassati” con etilene, per favorirne la maturazione.

Ma se, come Pipin Maiorco, avete un po’ di spazio per piantare anche un solo caco nel giardino, non esitate. Potrete poi gustarne i doni più preziosi: l’ombra estiva per leggere o riposare e la poesia autunnale delle mille «lampadine rosse», da cogliere al momento giusto, prima della neve.

La bellezza dei kaki sotto la prima neve



Da Nagasaki a Verbania con l’albero della pace

I giardini giapponesi e un albero di kaki sopravvissuto alla bomba di Nagasaki sono il tema suggestivo dell’XI edizione di Editoria&Giardini, la bella festa dedicata ai libri, alle immagini e ai documentari che raccontano storie di alberi, di giardini e di coltivatori appassionati.
La rassegna, organizzata dalla Città di Verbania, con la consueta capacità organizzativa e creativa di tre signore del verde come Lorella Granzotto, Carola Lodari e Francesca De Col Tana, si svolge dal 22 al 30 settembre 2012 nella elegante sede di Villa Giulia. Grazie al clima e a quella sorta di vocazione che, senza ombra di dubbio, possiamo etichettare come genius loci, il territorio verbanese è punteggiato da ville e parchi ricchi di storia e di rare essenze esotiche venute dalla Cina e dal Giappone. Basterà ricordare i rododendri, le kalmie e le splendide camelie del lago, per non parlare delle preziose collezioni botaniche delle isole borromee, le perle del Lago Maggiore. 


Alberetti di kaki nel dolce Paesaggio d’autunno di Wang Huei, Parigi, Museo Guimet
Proprio qui, sulle coste del Verbano, è nato più di dieci anni fa il salone del libro dedicato al verde e al paesaggio (www.editoriagiardini.it). Molte e prestigiose le novità editoriali di quest’anno, come il bel volume Guardando i giardini giapponesi scritto da Carola Lodari per le Edizioni Tararà. Proprio qui, a Villa Giulia, sabato 22 alle 10 del mattino s’inaugura la rassegna con Paolo Pejrone, scrittore e paesaggista che quest’anno dedica un accorato intervento ai giardini verbanesi duramente colpiti dal tornado dello scorso agosto. Primi, fra tanti, i giardini di Villa Taranto e quelli di Villa San Remigio, sogno d’amore di due cugini, Silvio Della Valle di Casanova, musicista allievo di Wagner e Sofia Browne, la dolce sposa dublinese innamorata dei preraffaelliti. 

Verbania. Rigogliosa fioritura di azalee e rododendri a Villa San Remigio

Nel pomeriggio invece, alle 15, presso la Biblioteca Civica di Villa Maioni, a conclusione del progetto internazionale “Revive Time Kaki Tree Project”, si pianta  l’alberetto proveniente da Nagasaki alla presenza  dei bambini delle scuole che hanno partecipato all’iniziativa. Perché, non bisogna dimenticarlo, saranno proprio loro i futuri custodi del caco della pace. 

Ecco, in breve, l’origine di questa commovente cerimonia.
L’artista Tatsuo Miyajima nel 1995, mentre allestiva una mostra a Nagasaki, venne a sapere che un albero di kaki era sopravvissuto alla terribile bomba atomica del 7 agosto 1945. Dai semi dei suoi frutti il dottor Ebinuma Masayuki aveva ottenuto nuove piantine, dette “Bombed Kaki Tree jr”. Da una vittima sopravvissuta all’atomica nasceva così una nuova generazione di alberetti che il dottore donava, come simbolo di pace, ai piccoli in visita a Nagasaki. Dall’incontro fra l’artista e il dottore è scaturita l’idea de “La rinascita del tempo”, un progetto che attraverso l’arte e la vita dei nuovi kaki vuol comunicare ai bambini di tutto il mondo un forte messaggio di pace.


Arte, vita e natura: tamerice in fiore nel giardino di Villa San Remigio




Note e precisazioni per le immagini

Kaki a Villa Taranto, foto di Francesca De Col Tana tratta dall’opuscolo intitolato Nel Giardino giapponese, XI edizione di Editoria&Giardini, Verbania, 22-30 settembre 2012.

Diospyros kaki, Trustees of Royal Botanical Gardens, Kew. Il dipinto fa parte di una collezione di 26 pannelli di legno dipinti a Tokio nel 1874 e inviati in Inghilterra dal Giappone. Ciascuno è costituito da parti di tronco, rami e frammenti di corteccia della specie illustrata con la rappresentazione delle foglie e dei fiori.
Sono conservati ai Kew Gardens, nella Economic Botany Collection.
Foto tratta da Plant Artefacts - Japanese wood panel collection, http://www.flickr.com/photos/kewonflickr/sets/72157623507155459/with/4437442299/.

Vincent Van Gogh, Ritratto del Père Tanguy, 1887, Collezione Stavros S. Niarchos, New York. Julien François Tanguy era proprietario di un colorificio parigino. Van Gogh, come numerosi altri artisti, si riforniva presso di lui ed era diventato suo amico. Come ricorda Franco Fanelli sul Corriere della Sera del 3 settembre 2003 «era sopranominato père dai giovani artisti parigini per la sua età avanzata. Per lungo tempo fu lunica persona a esporre le tele di Van Gogh, assieme a quelle di Cézanne. L' artista gli fece due ritratti, usando in entrambi i casi come sfondo alcune stampe giapponesi». Tratto dal volume Van Gogh, Edizioni d’arte Garzanti.

Diospyros kaki, Famiglia delle Ebenaceae, tavola dipinta e incisa da Fitch John Nugent (1840-1927) nel 1907, Folio 8127, tratta da Curtis’s Botanical Magazine, Vol. 133, 4ª serie, volume 3. - Parigi, Muséum national d’Histoire naturelle, biblioteca centrale.

Lo scrittore Italo Calvino, come appare sulla copertina del II volume dei Meridiani, a lui dedicati.

Kaki sotto la neve, foto tratta dal libro Grande atlante degli alberi di Maria Vittoria Divincenzo e Francesco Bianchini, Arnoldo Mondadori Editore.

Wang Huei (Dinastia Ch’ing), Paesaggio d’autunno, Parigi, Museo Guimet. Particolare tratto dal libro Pittori cinesi, di Giuseppe Argentieri, Mondadori.

Villa San Remigio, Verbania, fioriture di azalee, rododendri e romantiche tamerici nelle due belle foto di Francesca De Col Tana.


Marta Isnenghi il 5 dicembre 1985 ha pubblicato sull’Unità, nelle pagine dedicate a Milano e Lombardia, un altro articolo sul caco, intitolato “Le mode della botanica”, nella rubrica Linea verde.







 


 

 
 



4 commenti:

  1. carissima Marta, grazie per questo articolo bellissimo!
    Io ho una copia anche di un tuo breve articolo sul kako, pubblicato dal mensile Gardenia....
    In onore a quell'articolo, ho piantato un kako cioccolatino di fianco alla quercia che ha l'eta' del mio papa', in Piemonte.
    E ti vorrei anche raccontare, cosa mi ha detto una volta una cara amica, ormai nonna: nel loro giardino di via Bramante, lei i suoi figli bebe', li metteva a fare la nanna' sotto il grande kako, perche' l'ombra del kako e' piu' fresca...

    Con affetto, Francesca

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    1. Grazie a te Francesca,
      e buon lavoro a tutti voi
      per la bella settimana verbanese.

      Marta

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  2. stupendo post ...complimenti davvero
    qua in Toscana ne abbiamo tantissimi e mi sembra probabile che i primi siano arrivati a Firenze nel giardino di Boboli

    saluti

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  3. Grazie. Boboli è uno dei giardini che amo di più. Anni fa ci venivo spesso. Cari saluti.

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